Il Consiglio dei Ministri ha deliberato di impugnare la legge regionale n. 19/2021 limitatamente all’articolo 7, che inserisce nella Lr n. 61/1985 il nuovo articolo 93 bis rubricato “Stato legittimo dell’immobile – tolleranze”, in quanto ritenuto in contrasto con la disciplina di principio posta dall’articolo 9 bis, comma 1 bis del DPR n. 380/2001 con conseguente violazione dell’articolo 117, comma 3 della Costituzione.
In particolare il citato articolo 7 individua nel certificato di abitabilità/agibilità un ulteriore documento che consentirebbe di identificare lo stato legittimo degli edifici.
Ciò contrasta con l’articolo 9bis, comma 1 bis, del citato DPR n. 380 che detta la regola generale, secondo cui lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello che risulta dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa, dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali e, in assenza di titoli edilizi, la possibilità di desumere lo “stato legittimo” da informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti definiti probanti (riprese fotografiche, estratti cartografici, documenti d’archivio, altro atto, pubblico o privato di cui sia dimostrata la provenienza).
Per questo motivo il Governo si oppone alla legittimità dell’articolo 7 della legge regionale nota anche con il nome “Veneto cantiere veloce”, in quanto definisce un diverso regime giuridico dello “stato legittimo” dell’immobile rispetto a quello delineato dal legislatore nazionale.
La problematica dello stato legittimo degli immobili sta assumendo un’importanza notevole, soprattutto in relazione alle agevolazioni fiscali introdotte per incentivare gli interventi di adeguamento energetico, sismico e strutturale in genere, del patrimonio edilizio esistente, purché regolare sotto il profilo edilizio ed urbanistico.
L’intenzione del legislatore regionale è quella di creare le condizioni affinché le operazioni di recupero e di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente non finiscano per essere vanificate dall’impossibilità di rappresentare lo “stato legittimo” – inteso come rispondenza degli immobili in tutte le loro parti rispetto al progetto autorizzato – di edifici assai risalenti nel tempo ed affetti da parziali difformità dal titolo edilizio.
La parola passa alla Corte Costituzionale che ancora non ha calendarizzato l’iter di esame della norma regionale.